PREMESSA.
In un precedente articolo (Il Pescatore Trentino, anno 32, n.3/2009) ho parlato della pesca delle trote selvatiche con esche naturali mediante le tecniche “al tocco” e “ a saltello”, trote da ricercare nei rii o rivi e nei torrentelli di alta montagna, ma anche in alcune, sia pur rare, risorgive del piano.
Le trotelle che popolano questi corsi d’acqua possono essere insidiate efficacemente, sia pure con qualche difficoltà aggiuntiva, anche con esche artificiali.
Una tecnica particolarmente affascinante e gratificante è quella denominata “a mosca”; “fly fishing”, per dirla con gli anglosassoni, “pêche a la mouche”, per i transalpini.
La pesca a mosca si effettua con canne particolari (“canne da mosca”, appunto) ed utilizzando una lenza speciale chiamata “coda di topo”, terminante con un “finale” in monofilo a sezione conica ovvero, in alternativa, con un finale realizzato con spezzoni annodati di monofilo aventi diametro decrescente.
Si impiegano, come esca, imitazioni di insetti acquatici nelle morfologie dei diversi stadi della loro metamorfosi, ma anche imitazioni di insetti terrestri o di piccoli crostacei.
I PESCI.
La pesca a mosca nasce dall’osservazione e dallo studio del sistema di alimentazione di molti pesci. Sono di grande interesse (anche se non esclusivo) per il pescatore a mosca, i pesci appartenenti all’Ordine dei “Salmoniformi” e, tra questi, in particolare quelli appartenenti alle Famiglie dei “Salmonidi”, dei “Timallidi” e dei “Coregoni”.
La trota fario appartiene al Genere “Salmo” ed è della Specie “Salmo trutta trutta”.
Ho letto, non ricordo dove, che il nome fario, di uso comune, deriva dal tedesco “Forelle”
Della Famiglia dei Salmonidi fa parte anche il Genere “Salvelinus”.
Cito la Specie “Salvelinus alpinus” perché, evento sia pur raro, ne ho catturato qualcuno, naturalmente liberandolo con gran cura.
All’interno del progetto “Carta ittica della Provincia di Belluno” (Zanetti, Loro, Turin e Russino, 1992), uno studio accurato sull’alimentazione dei pesci ha dimostrato come la trota fario, di medio-piccola taglia, si nutra prevalentemente di insetti acquatici (circa l’ottanta per cento della dieta) ed in minor misura di piccoli crostacei, di anellidi e di insetti terrestri che possono cadere in acqua.
E’ del tutto evidente come la conoscenza degli insetti che vivono nelle acque popolate dalla nostra reginetta costituisca patrimonio fondamentale per esercitare la pesca in modo corretto e proficuo.
GLI INSETTI.
La Classe degli insetti acquatici appartiene al Tipo degli “Artropodi” e si divide in due Sottoclassi:
“Atterigoti”, sprovvisti di ali e “Pterigoti”, alati.
In ragione del tipo di metamorfosi, gli Pterigoti si suddividono a loro volta in “Olometaboli”, cioè a metamorfosi completa, ed in “Eterometaboli”, ossia a metamorfosi incompleta, di vario tipo.
Classi e Sottoclassi sono formate dall’insieme di svariati Ordini e Famiglie, alle quali appartengono migliaia di Specie.
Lo studio sistematico degli alvei, l’osservazione degli insetti durante la loro vita aerea e l’esame del contenuto dello stomaco delle fario da me catturate, in tanti anni di pesca e nei diversi periodi della stagione ittica, mi consentono di poter indicare, con relativa buona approssimazione, che la trota fario dei rii, torrentelli e risorgive si nutre prevalentemente di insetti appartenenti agli Ordini:
dei “Tricotteri”, per quanto riguarda gli insetti a metamorfosi completa;
degli “Efemerotteri” e dei “Plecotteri”, quali Ordini ai quali appartengono insetti a metamorfosi incompleta.
Tricotteri: la metamorfosi avviene in tre fasi: dall’uovo si sviluppa una “larva” che si trasforma in “pupa”; l’ultima mutazione trasforma la pupa emergente in insetto alato.
Efemerotteri: dall’uovo si sviluppa una larva; con la comparsa delle sacche alari la larva (o “ninfa”) sale in superficie e schiude come insetto non ancora perfetto (“subimago”); successivamente assume la forma definitiva (“imago”) ed inizia il suo volo nella fase aerea.
Plecotteri: dall’uovo si sviluppa una larva o ninfa che, nel tempo, assume diverse trasformazioni. Le larve, risalendo dal fondo sui sassi o tra la vegetazione, schiudono e si trasformano direttamente in insetto adulto.
Rispetto a questi tre importanti Ordini, mi limito qui ad indicare, nel riquadro che segue, le più significative Specie che, con maggior frequenza, vivono e schiudono negli ambienti acquatici popolati da fario selvatiche.
ARTROPODI → INSETTI → PTERIGOTI
ORDINE → FAMIGLIA → SPECIE
TRICOTTERI
Olometaboli IDROPSICHIDI 1 HYDROPSYCHE CONTUBERNALIS
FILOPOTAMIDI 2 PHILOPOTAMUS MONTANUS
FRIGANEIDI 3 PHRYGANEA GRANDIS
PLECOTTERI
Eterometaboli NEUMORIDI 4 NEMOURA CAMBRICA
PERLODIDI 5 HYDROPERLA CROSBY
PERLE GIGANTI 6 PTERONARCELLA BADIA
EFEMEROTTERI
Eterometaboli BETIDI 7 BAETIS RHODANI EFEMERIDI 8 EPHEMERA DANICA
EFFIMERE DEI RUSCELLI 9 ECDYONURUS DISPAR
Le imitazioni di queste Specie, nelle diverse fasi della loro metamorfosi, costituiscono patrimonio necessario, e quasi sempre anche sufficiente, per affrontare la maggior parte delle situazioni di pesca in montagna.
LE MOSCHE.
Da quanto sopra indicato, una buona dotazione di mosche artificiali può quindi essere costituita da ventuno esemplari:
tre (larva, pupa, insetto alato) per ciascuna specie di Tricottero, pari ad un parziale di nove artificiali;
due (ninfa ed imago) per ciascuna specie di Plecottero ed Efemerottero, pari ad un ulteriore parziale di dodici esemplari, per un totale complessivo di ventuno.
Personalmente ritengo che anche con quattordici o sette esemplari si possa affrontare in tutta tranquillità una battuta di pesca.
Credo, peraltro, molto importante avere la disponibilità di più pezzi dello stesso esemplare.
Capita frequentemente infatti, di perdere la mosca (magari proprio quella che sta catturando!) perché ci si impiglia nella vegetazione, tra i massi o per semplice rottura del terminale: è bene quindi poterla replicare disponendo di copie.
In genere si usano terminali φ = 0,14 o φ = 0,12 del tipo “fluorocarbon”: la prerogativa di essere poco visibili in acqua, e quindi adattissimi, ha però come contropartita una certa rigidità del monofilo che risente molto delle sollecitazioni a torsione, sfibrandosi.
Prima di sentire “schioccare” la coda durante il lancio, segno della perdita della mosca, è importante controllare ed eventualmente rinnovare il nodo, eliminando gli ultimi centimetri del terminale.
Nei negozi specializzati si possono trovare tutti gli artificiali di mosche desiderati, di buona qualità.
Io preferisco costruirmeli.
Gli amici del “Fly Club Padova” mi dicono, con molta cordialità, che le mie mosche sono rozze ed ingenue: però riconoscono, per avermi visto in pesca o per averle provate, che sono efficaci e catturanti.
Penso che una mosca debba essere costruita cogliendo l’essenza della larva, della pupa, della ninfa
o dell’insetto alato che si vuole imitare.
Una trota che vive in una buca, ai margini di un raschio o di una correntina, dietro un masso o sotto una cascatella, in un ambiente di competizione e di scarsità di cibo, non ha certo il “tempo” di “contare” se il possibile cibo ha tre, quattro o sette paia di zampe; se ha una o due coppie di ali; se il corpo ha due o tre regioni; se il torace è formato da due o tre segmenti; se l’addome ha undici segmenti…se i cerci sono due o tre e se hanno funzione difensiva o tattile…!
Il pescatore – costruttore delle proprie mosche deve cogliere l’essenza di ciò che sta imitando, rispettando: la taglia, le proporzioni d’insieme, la struttura, la silhouette ed i colori dell’insetto vero. Così facendo si costruiranno mosche semplici ed efficaci.
Di fondamentale importanza è la presentazione: una ninfa deve stare sul fondo, una emergente a mezza acqua o sotto il pelo dell’acqua, un insetto deve galleggiare, senza dragare, soprattutto se è morto (ad ali aperte).
In altre parole si può dire che l’aspetto vincente è di poter offrire al pesce un potenziale nutrimento riconoscibile, il cui apporto calorico sia superiore o almeno pari al dispendio energetico necessario per procurarselo.
LA CANNA.
Per questo tipo di pesca, in questi ambienti, sono da preferire canne ad azione semi – parabolica, perché danno un buon equilibrio tra rapidità e morbidezza nella ferrata.
In generale servono canne corte, da 6 a 7 piedi.
Per le situazioni particolari, non avendola trovata in commercio, mi sono fatto costruire una 5 piedi per coda n.2, esagonale in bamboo; è una canna di grande qualità che mi consente, nei piccoli rivi, lanci relativamente corti, ma precisissimi e che non teme catture, anche di buona taglia, sia pur ferrate in corrente.
Più spesso uso una 6 piedi per coda n.3, in carbonio, molto valida per tante situazioni di pesca.
Paradossalmente, in condizioni estreme, quando proprio non è possibile nessuna manovra, può essere utile una 10 piedi con la quale effettuare il cosiddetto lancio “a balestra”.
L’ideale sarebbe una canna telescopica – teleregolabile, anche per il ridotto ingombro e la facilità di smontaggio senza dover effettuare il recupero totale della coda.
Ho la fortuna di possederne una, ma presenta l’inconveniente di essere stata progettata in modo da prevedere, per ogni lunghezza possibile con la teleregolazione, una coda di diverso numero.
Non è proprio il caso di portarsi nello zaino tre mulinelli o tre bobine di ricambio: conviene accettare un compromesso e montare una coda intermedia. In ogni caso, va tenuto conto che la versatilità spesso non va d’accordo con la qualità.
IL MULINELLO.
Qualsiasi mulinello a bobina larga va bene, purché costi poco e sia leggero: purtroppo i due requisiti non sono sempre compatibili.
Potendo sopportare una certa spesa, indubbi vantaggi e comodità si possono avere con l’impiego di un mulinello semi – automatico. Il riavvolgimento della coda è molto rapido; inoltre, in caso di cattura, si può riavvolgere la coda “a terra” senza utilizzare la mano che non impugna la canna.
LA CODA DI TOPO.
Preferisco code color grigio sabbia, galleggianti e a doppio fuso.
Non serve la grande qualità della coda perché l’inevitabile continuo sfregamento su massi e ghiaie la rovina facilmente.
Se si ha la costanza di pulirla sistematicamente, dopo ogni uscita, e di applicare l’apposito silicone, prima di ogni uscita, dura molto più a lungo.
Personalmente, seguendo il consiglio di Witold Ziemacki (Come pescare meglio con la mosca artificiale, Editoriale Olimpia, 1986): taglio la coda a metà e ne carico sul mulinello soltanto mezza, più che sufficiente per i lanci che si possono fare. Si ottengono due vantaggi: il mulinello risulta più leggero, fatto non trascurabile nel bilancio delle forze, delle masse e delle accelerazioni in gioco nella dinamica del lancio, e si garantisce una migliore conservazione della metà non utilizzata custodendola in casa avvolta a larghe spire.
IL FINALE.
Libri e riviste forniscono molti consigli sul modo di scegliere un finale conico, ma anche molte “ricette” e “formule” per costruire quelli a nodi.
Io ho scelto di costruirmeli ed invito a farlo per la soddisfazione che se ne può ricavare.
Inizialmente si può sbagliare, ma, con pazienza e spirito di osservazione, nel tempo si impara a trovare il giusto equilibrio tra la parte di potenza ed il tratto conico, in modo da predisporre i nostri finali in forma soddisfacente per ogni situazione di pesca.
Se possibile, cerco di confezionare i miei finali in modo che risultino un po’ più corti della canna su cui vanno impiegati.
Così facendo si può agganciare la mosca all’apposito anellino evitando che la calzetta di congiunzione coda - finale, o il connettore, rientrino nei passanti. In questo modo si ottiene anche una maggiore comodità negli spostamenti.
Per una 5 piedi, da impiegare in un piccolo rio infrascato, un finale, a titolo indicativo, può essere così strutturato:
Lunghezza cm 30 20 20 15 15 35 Tot. cm 135
Coda di topo < F I N A L E > Mosca
Diametro φ, mm 0,35 0,30 0,25 0,20 0,18 0,16 * * o 0,14
IL LANCIO.
Le difficili caratteristiche ambientali delle zone in cui ci troviamo a pescare, comportano necessariamente la capacità di effettuare lanci diritti, ricurvi, angolati, sotto vetta e lanci rullati.
A volte torna utile o addirittura indispensabile il lancio a balestra; altre volte… bisogna inventare.
La cosa più importante è imparare ed abituarsi a fare pochi, pochissimi falsi lanci (per non disturbare le trote e per ridurre la possibilità di impigliarsi) e di effettuare una posa morbida della mosca e della coda.
LE TECNICHE.
Le tecniche di pesca sono sostanzialmente tre, come già anticipato: a ninfa, a mosca sommersa o emergente ed a secca.
Altre tecniche sono patrimonio di ciascun pescatore come, ad esempio, il dragaggio voluto della mosca secca (ad imitare la fase di deposizione delle uova da parte di un insetto femmina) o il recupero della ninfa a piccoli strappi (ad imitare la risalita dal fondo) o l’imprimere piccole vibrazioni ad una emergente (ad imitare l’abbandono dell’esuvia).
In genere, anche con la ninfa, si pesca a vista, data la trasparenza dell’acqua.
Se si vede arrivare una piccola trota sotto misura, è cosa buona fare in modo che non abbocchi, a costo di creare un disturbo sul tratto d’acqua interessato.
Con l’acqua mossa ed in corrente (la ninfa e la sommersa non sono visibili) si pesca con la coda in “tensione”. Capita spesso di catturare piccole trote sotto misura.
La cosa migliore è usare sempre mosche montate su ami senza ardiglione, o con ardiglione schiacciato, e slamare il pesce lasciandolo, ove possibile, sempre e completamente immerso in acqua.
Con questi due accorgimenti la sopravvivenza delle trote rilasciate è molto elevata.
Sarebbe bene, inoltre, non cedere alla tentazione di fotografare le catture prima del rilascio. Se proprio non se ne può fare a meno, si possono fotografare anche se sono in acqua: è sufficiente l’accorgimento di applicare davanti all’obiettivo un filtro polarizzatore per ottenere risultati soddisfacenti.
Le persone affette da patologie respiratorie sanno bene che cosa significhi mancanza di ossigeno…
Certi filmati, in cui si vedono pescatori che per decine di secondi mostrano agli obiettivi della camera da presa le loro catture e che poi si preoccupano di “rianimare” i pesci, mi lasciano profondamente perplesso, sicuramente amareggiato.
Se non è proprio necessario, è cosa buona evitare anche di entrare in acqua. I nostri piedi possono distruggere uova e larve di insetti ma anche, specialmente al disgelo, uova di trota ed avannotti.
E’ importante ricordare che stiamo pescando in luoghi in cui l’ecosistema è spesso in fragile e delicato equilibrio ed è quindi opportuno limitare tutti gli elementi di disturbo.
LE STRATEGIE.
Le strategie di pesca non possono essere stabilite a priori. Esse sono determinate dalle caratteristiche dei luoghi, dal tipo di vegetazione, dalla pendenza delle scarpate, dalla particolarità delle sponde e dai possibili accessi all’acqua; per lo stesso luogo, le strategie dipendono dalla stagione, dalla eventuale presenza di neve, dalla qualità dell’acqua, dalla temperatura e dalla situazione meteo.
In generale preferisco la pesca a discendere in modo da far arrivare la mosca prima della coda; se non è possibile cerco di posare il finale ricurvo, in modo da ottenere lo stesso risultato.
Se troviamo una bella buca che può ospitare anche più esemplari, è utile aggredirla da valle, sempre con lancio ricurvo, ed iniziare la posa della mosca dal fine buca e successivamente pescare a metà e, da ultimo, in testa.
Non è raro il caso, se si è ben operato, di catturare più esemplari nella stessa buca.
La scelta della tecnica e della mosca vanno fatte osservando e ragionando: non bisogna aver fretta di cominciare a pescare.
Capire se vi è una schiusa in atto, osservare se il pesce bolla, se sta sul fondo o a mezza acqua; individuare gli insetti che volano in prossimità o quelli trasportati in superficie, significa avere il patrimonio di conoscenze utile per le scelte vincenti.
Resta sempre importantissima la necessità di non fare rumore, di non produrre vibrazioni, di non proiettare ombre e di rimanere il più possibile nascosti.
CONCLUSIONI.
La pesca a mosca è uno dei modi più stilisticamente raffinati e tecnicamente sofisticati per soddisfare la nostra passione di pesca. Ora possiamo solo aspettare l’apertura, ma aspettando possiamo fare tante cose:
pulire le canne, ripassare con vernice appropriata le legature e dare un po’ di cera vergine alle impugnature in sughero;
pulire i mulinelli e lubrificarli;
svolgere, pulire e siliconare le code di topo;
costruire le mosche nelle quali riponiamo la nostra fiducia ed integrare quelle perdute;
predisporre finali di diversa misura, potenza e conicità tenendo presenti gli inconvenienti riscontrati nella precedente stagione….
Ma possiamo anche sognare ad occhi aperti e rivedere e sentire:
le sfumature del verde di faggi, abeti e larici;
il bianco, il rosso il viola e l’azzurro dei fiori di ripa;
le tinte ed il profumo dei funghi;
il sapore di qualche fragola, mirtillo o lampone;
il verso e il canto di mammiferi ed uccelli,
i suoni dell’acqua in corrente, nel mulinello o in cascata.
Possiamo ricordare quante volte, sentendo un tuono, ci siamo preoccupati senza riuscire a capire le condizioni del tempo per poter vedere soltanto fazzoletti di cielo tra i pini…
Possiamo inventare una schiusa, immaginare la bollata di una trota e catturarla con una mosca da noi costruita e poi scelta, legata ad un finale pensato e realizzato da noi…che cosa c’è di più ?
Lord Grey of Fallodon (Fly fishing, nella traduzione di L. de Boisset, Pêche a la mouche, Librairie des Champs-élysées,1947) scriveva :
“Il serait délicieux d’écrire sur ses plaisirs si l’on pouvait par ce moyen les faire partager aux autres”. “Malheureusement, rien n’est plus difficile…”
Se Lord Grey aveva la preoccupazione di non riuscire a fare partecipi i lettori delle sue emozioni, figuriamoci che cosa posso sperare io!
Ma ho voluto provarci lo stesso.
Domenico Feriani, Padova, dicembre 2009.